pittore


Giovanni Stipi

Le strade dell'incanto

 

Sull'uomo Morelli e sul suo carattere ci sono giunte testimonianze contraddittorie. Si va da chi lo presenta come un romagnolo estroverso e battagliero (Emanuelli 1939) a chi ne parla come di un "temperamento severo e un po' monacale" (Bagarotti 1981). Per questo usare il carattere del pittore come punto di partenza per la comprensione della sua arte comporta il rischio di equivoci o di analisi pasticciate, come è più volte accaduto.

Su due aspetti invece della sua pittura la critica ha raggiunto un sostanziale accordo: innanzitutto sul fatto che la sua è l'opera di un isolato, non assimilabile a nessuna corrente artistica contemporanea. E poi sulla simpatia morelliana equamente distribuita tra "antichi e moderni", ma attenta ad evitare le "stravaganze" dei contemporanei. L'accordo tra i critici si fa invece più difficile e problematico su altre questioni, come ad esempio sul tipo di rapporto che sussiste tra le immagini morelliane e la realtà, o sulle caratteristiche della qualità estetica di quelle immagini. Alcuni vedono in Morelli un trasfiguratore della realtà, e parlano di una sua presa di distanza da essa attraverso una "catarsi" (Repaci 1941; Ghilardi 1969), o una visione "metafisica" (Lepore 1963; Bagarotti 1972), oppure un' "astrazione" (Bracchi 1964), o anche mediante il filtro della "memoria" ( Kaisserlian 1956; Ghilardi 1969; Monti 1976); altri al contrario individuano nell'opera morelliana il permanere di una vena realistica, da intendersi "come visione immediata e diretta delle cose" (De Grada 1991). La disparità dei giudizi può far nascere nel lettore il sospetto di avere di fronte un pittore "eclettico", privo di sostanziale coerenza. In realtà Morelli, libero da obblighi di fedeltà verso correnti o gruppi, individualista per natura e autodidatta, non si pone mai a priori un astratto impegno di coerenza stilistica. Egli parte sempre da un dato esistenziale: "La pittura in Morelli nasce sempre da un'emozione" (Ballo 1952). E' lo stesso pittore a confermarlo, scrivendo che le opere dell'artista nascono "da un attimo di stupore e di incanto" (Morelli 1963).

Per questo la vera coerenza di Morelli, la radice etica della sua esistenza, consisterà proprio nel riuscire a tradurre con i mezzi dell'arte quelle emozioni estetiche, con la stessa chiarezza ed evidenza con cui sbocciano e fioriscono dentro di lui. Ed è proprio questo il tormento di tutta la sua vita: perennemente insoddisfatto, sempre pronto a ritoccare, rifare, distruggere la propria opera. Per sentirsi "vivo". Per esistere spiritualmente. Come un antico pellegrino Morelli ha camminato per tutta la vita sulle strade dell'incanto, cogliendo, di volta in volta, l'emozione di un umile fiore di campo, del sorriso di una donna, la vertigine di una cattedrale, lo spalancarsi improvviso di un panorama che ti riempie gli occhi e il cuore, ad una svolta inattesa.

E' poi naturale che la critica, per definire la qualità estetica delle sue immagini, abbia utilizzato formule diverse, parlando, ad esempio, di "castissima semplicità" (Bocelli 1926), di "sognante intimità" (Repaci 1941), di "fragranza popolaresca" (Coccia 1954), di "luce, serena e contemplativa" (Lepore 1971), di "stupito silenzio" (Bocelli 1974), di "poetica lontananza metafisica" (Bagarotti 1972). O che si sia divisa nell'individuare una maggiore "serenità" o una maggiore "inquietudine" nella sua opera, e nel ravvisare una sostanziale continuità di essa, di contro a una possibile sua divisione in periodi diversi, diversamente caratterizzati.

Più utile forse distinguere in Morelli una componente "narrativa" e una componente "lirica" e avere il coraggio di affermare che l'artista, narratore per esigenze di professione, aveva in realtà una vocazione prevalentemente lirica, in sintonia con la sua poetica dell'emozione